OPEN TO MER*AVIGLIA: tutti gli strafalcioni dell’ultima campagna del Ministero del Turismo
In questi giorni non si parla d’altro. E se un tempo il “basta che se ne parli” era sufficiente per assicurare il successo di una campagna pubblicitaria, oggi questa concezione andrebbe quantomeno rivalutata.
Ma cominciamo dal principio: è uscita la nuova campagna internazionale di promozione turistica del Ministero del Turismo ed Enit, con una testimonial alquanto particolare. Si tratta della Venere di Botticelli, nelle più o meno inedite vesti di influencer che si propone di guidare gli utenti nell’esplorazione delle meraviglie italiane.
Il concept
Perché parliamo di vesti “più o meno” inedite? Innanzitutto perché il concetto di opere d’arte parlanti non è affatto originale: qualche anno fa una famosa campagna marketing olandese ha utilizzato (meglio) la stessa idea per promuovere il turismo museale. E in secondo luogo perché la stessa Venere ha già vestito i panni dell’influencer, sia sulla copertina del libro di Lucrezia Ercoli su Chiara Ferragni (uscito nel 2020), sia nel packaging del sale “Gemma di mare” in occasione del lancio della linea denominata – ma guarda un po’? – “Meraviglie d’Italia“. Il concept di per sé può piacere o meno, ma purtroppo è indiscutibile come non si tratti di un’idea originale.
Il dominio
Eccoci a quello che a parer nostro è da considerarsi l’errore più grave. Una delle primissime azioni da intraprendere quando si avvia un’attività online è l’acquisto del dominio internet. Il minimo indispensabile è assicurarsi di possedere almeno il dominio con suffisso .it, ma trattandosi di un sito istituzionale sarebbe stato saggio procurarsi anche le declinazioni .com, .net e .org, onde evitare spiacevoli inconvenienti…che infatti si sono verificati. Cos’è successo? Che un altro soggetto – decisamente più sveglio – è andato a controllarne la disponibilità e, vedendolo libero l’ha subito acquistato, per poi reindirizzarlo a suo piacimento.
Le immagini
Anche per quanto riguarda le immagini utilizzate sul sito e sui social ci sarebbe da discutere. In primis poiché la maggior parte di esse provengono da un noto sito web che vende immagini stock. Ci si augura che ne sia stata almeno acquistata l’apposita licenza per l’utilizzo a fini commerciali, ma non si sa mai! A questo punto l’agenzia pubblicitaria si è solo dovuta limitare a modificare queste immagini altrui con qualche intervento minimo su Photoshop. Et voilà, ecco delle immagini non originali e di scarsa qualità.
Eh sì, perché oltre a essere utilizzabile da chiunque, questo materiale fotografico è stato anche compresso, inviato e ricevuto tramite WhatsApp. Gli addetti ai lavori avranno già capito (e staranno già rabbrividendo), ma cerchiamo di spiegare anche a chi non è esperto: ogni volta che condividiamo un’immagine via Whatsapp la sua qualità cala drasticamente. I professionisti della grafica conoscono bene l’importanza di non utilizzare mai questo canale per scambiarsi le immagini che andranno poi a popolare il sito web o i social.
Ma non finisce qui: chi si è occupato del caricamento delle immagini ha commesso un ulteriore errore, poiché non ha rinominato nessuno di questi file, limitandosi a lasciare il nome assegnato in automatico da WhatsApp, con tanto di data e ora del download. Non si tratta di una dimenticanza da poco, poiché questo tipo di contenuti impedisce ai motori di ricerca di indicizzare correttamente il sito e non contribuisce a farlo trovare più facilmente. Insomma, ciao ciao alla SEO!
Il linguaggio e le traduzioni
Ora, possiamo perdonare gli inglesismi. E, seppur con fatica, possiamo provare a perdonare una strategia comunicativa piena di stereotipi, ma quel che è davvero imperdonabile è l’ennesimo dettaglio tragicomico: le traduzioni del sito ufficiale della campagna.
Tanto per cominciare, le lingue disponibili sono solamente quattro, ossia l’italiano, l’inglese, il tedesco e lo spagnolo. Il fatto che non siano previsti il francese, il cinese o il giapponese è abbastanza inconcepibile, essendo un sito web principalmente dedicato ai turisti stranieri. Ma non è tutto (purtroppo): come spesso accade, le traduzioni sono state affidate a una società esterna, che si autodefinisce “leader nell’intelligenza artificiale” e capace di “fornire un servizio di traduzione automatizzata di notizie e informazioni (…) per garantirne la massima qualità“.
Peccato che non sia proprio così. A cominciare da un “Come to live italian” che lascia quantomeno perplessi, fino alle traduzioni in tedesco, che strappano più di un sorriso: l’intelligenza artificiale ha infatti tradotto anche i nomi delle città e dei paesi italiani, come se fossero nomi comuni. Perciò Brindisi è diventata “Toast” (che significa sì “brindisi”, ma quello che si fa col vino), Fermo è riportata come “Stillstand“ (ossia “arresto” o fermata), Prato è “Rasen” (sì, il prato d’erba verde), Cento è “Hundert” (“centinaio”), Scalea è “Treppe” (“scala”) e, dulcis in fundo, Camerino diventa “Garderobe” (che è sì traducibile con “camerino”, ma nel senso di “guardaroba”). D’altro canto, chi non vorrebbe trascorrere le proprie vacanze estive chiuso in un armadio?
Il Made in Italy
Comprensibilmente, l’idea della campagna pubblicitaria si basa sulla necessità di vendere al meglio il Made in Italy. Il problema è che il risultato racconta una storia alquanto diversa, a partire dall’italianissimo claim “Open to meraviglia“.
Nel video di lancio, inoltre, vengono mostrati alcuni ragazzi che degustano vino incorniciati da quello che parrebbe essere un agriturismo italiano. Tutto molto romantico e bucolico, se non fosse che il girato – anch’esso stock, non c’è bisogno di specificarlo – non è stato realizzato in Italia ma in una cantina slovena, la stessa che produce il vino sorseggiato dai ragazzi (una dei quali peraltro ha recentemente dichiarato di non essere nemmeno a conoscenza di essere presente sulla piattaforma di immagini stock e che valuterà se sporgere denuncia per abuso d’immagine).
Quindi non solo non è stato programmato un apposito servizio videofotografico, ma le immagini e i video portabandiera dell’orgoglio Made in Italy sono stati realizzati in una cantina slovena e acquistati su una piattaforma stock straniera…da un regista olandese, peraltro. Sembra l’incipit di una barzelletta, peccato che ci sia davvero poco da ridere.
Un ultimo appunto sulla questione Made in Italy, per cui torniamo nuovamente a parlare delle immagini. Sì, perché oltre a essere state banalmente acquistate da un sito stock, le immagini rappresentano una Venere che non si limita a vestire i panni dell’influencer ma anche – ahinoi – a vestire capi fast fashion. Uno schiaffo in faccia all’ecosostenibilità…e al Made in Italy!
I follower
Nemmeno i profili social della campagna sono scampati all’errore. O meglio, alla figuraccia! Andando a osservare i follower del profilo Instagram ufficiale di @Venereitalia23, infatti, è possibile scoprire come la maggior parte di essi presenti le medesime caratteristiche:
- ⦁ Sono stati creati recentemente
- ⦁ Non hanno pubblicato molti contenuti, oppure sono stati caricati nell’arco di pochissimo tempo
- ⦁ I commenti sotto ai loro post sono standard, tutti uguali e perciò inadatti a creare vere interazioni
- ⦁ Hanno pochissimi follower (che peraltro corrispondono a loro volta a questa stessa descrizione), ma al contempo seguono una miriade di persone
Il che significa una cosa sola: si tratta di profili fake, acquistati attraverso appositi servizi in grado di aumentare il numero dei follower. Oltre a essere una mossa patetica, dimostra anche poca professionalità, poiché se un account colleziona un numero eccessivo di follower fasulli verrà inevitabilmente penalizzato dall’algoritmo di Instagram, che ne limiterà drasticamente la visibilità.
Il costo
Il sito web e i suoi contenuti fanno parte di un progetto per il Tourism Digital Hub, finanziato dal PNRR per 114 milioni di euro, atto a sviluppare la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività, la cultura e il turismo. E ciò che rende davvero “meraviglioso” tutto questo è il fatto che la campagna sia stata realizzata con ben 9 milioni di euro pubblici, assegnati a una nota agenzia pubblicitaria che avrebbe dovuto esaltare le qualità e le bellezze dell’Italia e invece ha prodotto una campagna piena di falle che sta facendo parlare di sé soltanto per i suoi aspetti negativi.
I ringraziamenti
Infine (si spera!) questi giorni, l’agenzia che ha ideato la campagna “Open to meraviglia” ha acquistato una pagina su uno storico quotidiano, pubblicando un comunicato egoriferito e poco modesto in cui pretende di giustificare le decisioni intraprese e ringraziare – per modo di dire – tutti coloro che stanno parlando della campagna. L’agenzia deride chiunque abbia pensato che le foto e i video presentate fossero ufficiali e non – come tentano di farci credere – un mero esempio di materiale di repertorio (che tuttavia è stato pubblicato tale e quale, immagini stock e denominazioni WhatsApp incluse).
Insomma, per l’agenzia vige ancora il “basta che se ne parli”. Onore a coloro che riescono a fare buon viso a cattivo gioco, ma se c’è una cosa che quest’esperienza ci ha insegnato è che non possiamo fare a meno di chiederci: alla luce della digitalizzazione e dell’innovazione nella cultura e nel turismo, e con l’avvento inesorabile delle intelligenze artificiali che dovrebbero agevolare il lavoro e aumentarne la qualità…forse non sarebbe meglio rivolgersi a professionisti del marketing in carne e ossa, quelli che nelle campagne ci mettono il cuore, lo studio, l’impegno e l’esperienza?
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