Dopo Uber, adesso c’è l’home restaurant di Gnammo.
All’inizio era Uber, la punta dell’iceberg della sharing economy, adesso arriva anche Gnammo, una piattaforma italiana dedicata al #socialeating.
E infatti, dopo i cuochi a domicilio, Gnammo offre la possibilità a chiunque di organizzare pranzi, cene e degustazioni a casa propria.
E già ci sono le prime polemiche di chi vorrebbe che chi cucina a pagamento, presentasse la SCIA di dichiarazione di inizio attività al Ministero dello Sviluppo economico.
Come funziona Gnammo.
Chiunque potrà mettersi alla prova, dietro ai fornelli. Il cuoco decide di aprire casa propria, per una cena al buio e i partecipanti possono conoscere nuovi amici. Su Gnammo, il cibo diventa social, strumento di conoscenza e scoperta.
Da una parte ci sono i cuochi, che inseriscono menù, foto della location, quanti posti ci sono a disposizione e il prezzo della cena, a persona. Dall’altra ci sono gli “gnammers”, che selezionano le offerte in base alla città, al costo e ad altri criteri. Una volta pagato il costo dell’evento, ciascuno gnammers riceverà l’indirizzo al quale recarsi.
In realtà mangiare è solo un pretesto, lo scopo del sito è dare la possibilità di incontrare persone nuove e conoscere gli altri membri della community. In buona sostanza, si tratta di un social che crea occasioni affinché la gente esca da casa e interagisca nel mondo reale.
Ristoratori vs. Gnammo.
Secondo il ministero qualunque soggetto, è tenuto a presentare la SCIA o a richiedere l’autorizzazione, per poter effettuare questo servizio a casa propria. Si presenta quindi uno scenario che vede due fronti contrapposti. Da una parte i protagonisti della sharing economy, Gnammo in questo caso, dall’altro gli enti regolari e le autorità pubbliche.
In mezzo c’è l’applicazione delle regole.
E voi, cosa ne pensate?
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